La donna sorrise di nuovo poi, con la punta delle dita, sollevò la
veletta che le copriva il viso e lasciò che gli occhi della ragazzina
scoprissero senza fretta la storia della sua vita.
“Hai i capelli bianchi”, mormorò la ragazzina dopo un lunghissimo silenzio. “Sono bellissimi…”
E, dopo un attimo di esitazione, avvicinò la mano tremante per
l’emozione al volto della donna e le sfiorò le rughe, a una a una, come
se volesse imprimerle nella propria mente.
Dunque era questo che
significava invecchiare. Permettere al tempo di scrivere sul proprio
corpo i ricordi di ogni singolo attimo passato su questa Terra.
Solo
dopo qualche minuto la donna prese la mano della ragazzina tra le sue e
la guidò lungo la sua storia. “Queste”, mormorò sfiorando le due rughe
tra le sopracciglia, “sono le preoccupazioni che hanno attraversato gli
anni della povertà, quando lavoravo di notte per confezionare abiti in
sartoria. E questi”, disse, spostando le dita della ragazzina sul
ventaglio di rughe ai lati degli occhi, “ questi sono i sorrisi di cui
la vita mi ha fatto dono.” Lentamente, guidò la piccola mano sulla
fronte. “Questi sono i pensieri e l’amore incondizionato di una madre e
queste”, mormorò scendendo lungo le guance, “queste, bambina mia, sono
le mie lacrime. Ma non si piange solo per dolore”. [Suggerito da Giovanna Renzi]